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Viene fondata la Compagnia Italiana Westinghouse
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L’azienda è mobilitata per la produzione bellica
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Lo stabilimento è seriamente danneggiato dai bombardamenti degli alleati
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La Westinghouse è assorbita dalla Wabco Automotive Italia
Westinghouse
La Compagnia Italiana Westinghouse dei freni è fondata nel 1906 nello stabilimento di via Boggio (l’attuale via Paolo Borsellino) 20, acquisito in precedenza dalla Rapid, fabbrica produttrice di ricambi per auto. La Westinghouse, specializzata nella produzione di freni continui ad aria compressa, procede alla realizzazione di lavori di ampliamento e ottimizzazione degli spazi, in modo da concentrare in un’unica struttura i reparti di lavorazione meccanica, montaggio, saldatura, le fucine e la fonderia costruita nel 1907.
Durante la prima guerra mondiale l’azienda è mobilitata per la produzione bellica, che si concentra sulla costruzione di munizioni per artiglieria e motori per aeroplani.
A guerra finita la Westinghouse crea, nel 1922, la Compagnia Italiana dei segnali, specializzata nella produzione di impianti di segnalazione; nel 1928 i due comparti si fondono dando vita alla Compagnia Italiana Westinghouse freni e segnali.
Lo stabilimento di via Boggio è seriamente danneggiato nel 1942 dai bombardamenti degli alleati, tanto da interromperne quasi del tutto l’attività, che riprende a pieno ritmo nell’immediato dopoguerra con la fabbricazione oltre che dei freni, anche di pezzi di ricambio per vagoni e motrici.
Nel corso degli anni ottanta la produzione lascia Torino ed è trasferita a Piossasco; nel 2004 la Westinghouse è assorbita dalla Wabco Automotive Italia, azienda di Collegno produttrice di sistemi di frenatura a controllo elettronico.
Lo stabilimento della Westinghouse, dopo un considerevole periodo in stato di abbandono, è ancora in fase di ricollocazione; uno dei progetti più ambiziosi prevede la costruzione, sull’area dell’ex fabbrica, di un centro congressuale polifunzionale.
Riferimenti bibliografici
Maurizio Tropeano, Westinghouse: ecco come sarà il centro congressi, in «La Stampa», 26 giugno 2017